COLANDO Nobil Vir de Polesinis (citato in documenti del 1364-1368-1378): si sa che fu oratore delegato dal Senato per regolare i confini con gli arbitri del patriarca di Aquileia. Ebbe due fratelli: Cristoforo e Simeone (dottore in legge, subdiacono apostolico e canonico di Treviso, 1360).


GIORGIO, Judex Municipalis in Civili et Criminali (1378-1389-1398) e suo fratello Andrea, conte palatino dell’imperatore Federico III (1440-1493).


Segue:

MATTEO, giudice, che ebbe tre fratelli: Giacomo, oratore e giudice in Montona in Civili et Criminali (1461-1472-1474), Simeone e Cristoforo.


NICOLÒ doctor (1436): comandante delle galere dell’imperatore d’Oriente al Concilio di Ferrara, al fine di accelerare la riunione delle chiese greca e latina. Dice di lui lo Stancovich : “Di Montona Niccolò. Di questo nostro istriano abbiamo una sola notizia nella storia romana dell’inglese Lorenzo Echard tomo IX Venezia 1751 pag. 487, in 8°, nella quale trattandosi di trasferire il concilio di Basilea in altra città, proponevano que’ padri di nominare d’accordo coll’imperatore di oriente la città opportuna, che il papa mostrasse la sua generosità per le spese del viaggio degli orientali affine di accelerare la riunione delle chiese greca e latina; che in caso diverso la Provvidenza aprirebbe altre sorgenti ai padri del concilio, ‘che digià gli avignonesi esibivano di dare anticipatamente settanta mila ducati, se si voleva tener il concilio nella loro città; finalmente che si aveva trattato con Nicolò di Montona, il quale si obbligava coll’esborso di trenta mila ottocento ducati di dare qualtro galee, e i trecento arcieri promessi ai greci per la guerra di Costantinopoli’. Questo Nicolò di Montona probabilmente apparteneva alla famiglia Polesini, ora iliustre e doviziosa, mentre in que’ tempi, come scorgesi dai domestici registri, denominavasi col nome da Montona, esempio che verificasi in molte altre famiglie di que’ secoli”.

Ebbe due fratelli, Giorgio e Paolo, e due figli: Bexino Puliceno (1474), giudice, e Bartolomeo.


BARTOLOMEO (1472) sposò Magdalena Barbo, nobile veneziana, e procreò nove figli: Sebastiano; Girolamo, professore di diritto civile all’università di Padova (1521) ; Giovanni Paolo, canonico; Marco, canonico; Domenica, sposata al conte Geronimo de Tarsia; Lucia, sposata al nobile Ubaldo Anteo Scampigio; Clara, sposata con Gaspari Bratti, nobile di Capodistria; Giovanni Paolo e Benedetto.


BENEDETTO, giudice (1567), sposò la nobildonna Anna Scampigio ed ebbe un figlio, Bartolomeo.


BARTOLOMEO sposò Paula de Serenis, nobile di Capodistria, e generò sei figli: Benedetto, Giovanni Paolo, Marco, Pietro, Virginia, sposa di Valerio Barbo, e Giacomo.


GIACOMO (1590-1632), sposato con Felicia de Gravisi dei marchesi di Pietra Pelosa, ebbe nove figli: Bartolomeo, Paula, Giovanni Paolo, Marco, Domenica, Elisabetta, Anna, Maria e Benedetto.


BENEDETTO (1623-1717), sposato con la nobildonna Eufemia Scampigio, ebbe dodici figli: Felice, Camilla, Giacomo, Matteo, Anna, Francesca, Caterina, Elisabetta, Marco, Sereno, Francesco e Giovanni. Nel 1677 egli pagò, insieme al fratello Bartolomeo, una tassa di 1200 ducati più lire 300 per essere aggregati alla Nobiltà del Consiglio di Capodistna. Gli successe il figlio Matteo.


MATTEO (1661-1732), sposato con Agnese de Apolonio, ebbe due figli: Elisabetta e Benedetto.


BENEDETTO (1693-1742), sposato con Nicolae de Apolonio, ebbe otto figli: Matteo, Marquardo , Agnese , Francesco, Giacomo, Eufemia, Matteo e Giovanni Paolo.

Giacomo (?-1806.), Francesco (1729.-1819.), Marquardo (1725.-1808.), Matteo (1724.-1800.), Gian Paolo (1739. - 1829.)
Giacomo (?-1806.), Francesco (1729.-1819.), Marquardo (1725.-1808.), Matteo (1724.-1800.), Gian Paolo (1739. – 1829.)

FRANCESCO, marchese, canonico e vescovo (Motovun, 1729 - Parenzo, 9 gennaio 1819) / FRANCESCO, markiz, kanonik i biskup (Motovun, 1729. – Poreč, 9. I. 1819)

FRANCESCO (1729-1819); di lui troviamo notizia nel primo volume di Pietro Stancovich : “Polesini marchese Francesco, canonico di Montona sua patria, nel 1771 fu fatto vescovo di Pola, nella qual sede spiegò un carattere degno dell’episcopato nella regolarità de’ suoi costumi, nell’osservanza della disciplina nel clero, nella vigile e salutare reggenza del gregge, e nel restauro a forme decenti di quel palazzo vescovile. Nell’anno 1778 traslato alla Cattedra di Parenzo, mantenne sempre eguale la forma di vivere e di reggere appostolicamente quel popolo alla sua cura da Dio fidato, spargendo colla voce la dottrina di Cristo, facendola seguire col di lui esempio, ed arricchindo quella cattedrale con doni preziosi di otto reliquie e varii sacri arredi; accrescendo quel palazzo vescovile di nobilissimo nuovo fabbricato e largendo elemosine all’istituto de poveri.

Il di lui spirito veramente pastorale vieppiù s’appalesa con “1’investita di ducati dieci mila per 1’erezione di un Seminario a beneficio della diocesana gioventù, sino all’anno 1796, che poscia di altrettanto aumentata, ‘si riservava di farne la consegna al capitolo per l’adempimento, pria che immaturo colpo troncasse il filo ai suoi desiderj’; come dice il Vergottin nel Saggio Storico di Parenzo pag. 83. Questa pia disposizione fu da me pure intesa più volte dalla viva voce di quel buon vescovo, ed è notoria a tutto il clero diocesano; né più benefica ed utile disposizione poteva farsi in quella diocesi scarsa all’estremo di clero per mancanza di mezzi di educarlo.

Questa santa disposizione, o per avvenimenti politici, o per l’eta avanzata, non ebbe il suo effetto.

Cessò di vivere questo vescovo ai 9 di gennajo dell’anno 1819 in età più che nonagenaria, dopo 48 anni di episcopato, e fu sepolto in quella cattedrale dinanzi l’altar maggiore in un’apposito sepolcro, dello stemma di famiglia… adornato” .

Tra le sue pubblicazioni, il cui elenco non è stato possibile ritrovare, figurano i Cenni storici sulli conventi della città e diocesi di Parenzo, estratto dalle memorie Sulla chiesa e vescovato di Parenzo.

Il Consiglio dei Dieci, il 10 marzo 1789, in seguito alle denunce del vescovo Polesini, ordinava alle donne di andare alle funzioni religiose “coperte e decente-mente vestite”. Ciò perché la gioventù cercava di divertirsi in ogni modo: gite campestri, balli all’aperto, serenate, festa in mare. II linguaggio degenera nell’abuso di sottintesi e di frasi a doppio senso.[1]


GIAN PAOLO SERENO (1739 – 1829), avvocato e politico / GIAN PAOLO SERENO (1739. -1829.), pravnik i političar

GIAN PAOLO SERENO (1739-1829) – Nacque nel 1739 a Montona (nell’Istria veneta), da Benedetto e da Nicoletta Apolloni. Conformemente al suo rango sociale, Gian Paolo fu avviato agli studi sotto un precettore privato, frequentò le scuole a Capodistria e si laureò in diritto nello Studio di Padova. Nel 1771 accompagnò a Roma il fratello Francesco, vescovo di Pola. Quando il fratello fu trasferito nel 1778 al vescovato di Parenzo, Polesini lo seguì nella città istriana e vi fu aggregato al consiglio nobile. Sposato con la nobildonna friulana Elena, figlia del conte Paolo di Spilimbergo, ebbe tre figli maschi – Benedetto, Marquardo e Francesco – e cinque femmine, le gemelle Nicoletta e Francesca, Clara, una seconda Francesca e Polissena.

Gian Paolo e il fratello promossero a Parenzo la vita culturale, la costruzione della loggia pubblica e la creazione nel 1793 di un casino nobile. Annoverati fra i maggiori e più innovativi proprietari terrieri, i Polesini coronarono la loro ascesa nobiliare conseguendo dalla Repubblica il titolo marchesale, con ducale del 23 maggio 1788.

Letterato e poeta d’occasione, Polesini fu aggregato ad accademie di Roma e di Padova e fu tra i fondatori, a Trieste, della colonia romano-sonziaca dell’Arcadia. Ebbe una vasta corrispondenza culturale: in ambito veneto-padovano, si segnalano i suoi carteggi col medico Omobono Pisoni, il medievista Giovanni Brunacci, il letterato Melchiorre Cesarotti e l’illuminista Alberto Fortis (con il quale avrebbe discusso negli anni Novanta intorno all’introduzione della patata e allo sfruttamento della torba nell’Istria). In Istria, stretti furono i suoi legami con Gian Rinaldo Carli e Girolamo Gravisi: Polesini, dopo il 1760, fece parte della brigata di amici, i certosini, che si riunivano nella villa di Carli a Cerè, appartandosi dall’Accademia dei Risorti di Capodistria, ma senza mai uscirne. Di quest’ultima, anzi, Polesini assunse il principato, una prima volta nel 1764-65 e nuovamente nel 1793, quando si trasformò in accademia economico-letteraria, accogliendo gli inviti del Senato a favore degli studi di agricoltura.

Un discorso accademico di Polesini su Lo spirito di commercio (Trieste 1792) celebra in termini generali il commercio e il lusso, che promuovono lo sviluppo dell’agricoltura. Con più specifico riferimento ai problemi dell’Istria, Polesini tenne nel 1795 la prolusione Della preservazione degli olivi, segnalando che l’economia istriana aveva perduto, per la distruzione degli oliveti degli anni Ottanta, un’entrata annua di 200.000 zecchini, pari a 500.000 ducati. Polesini si occupò anche della decadenza del bosco di Montona, fonte di legname per l’Arsenale.

Nel giugno del 1797 Polesini, come autorevole esponente del patriziato di Parenzo, contenne con abilità le istanze ‘democratiche’ della cittadinanza (alimentate dalla Municipalità di Venezia), tergiversando fino all’arrivo degli austriaci in Istria. Il conte Raimondo Thurn-Hoffer e Valsassina gli conferì le funzioni di direttore politico a Parenzo. In tale veste Polesini dovette fronteggiare il rimpianto popolare per la Serenissima, le speranze di rivincita dei ‘municipalisti veneti’ e le resistenze del patriziato locale, che guardava con sospetto alla sua volontà di dirigere il comune. Ma il barone Francesco Maria di Carnea-Steffaneo, plenipotenziario austriaco, gli confermò la fiducia, nel 1801-02, nominandolo preside del tribunale di prima istanza di Parenzo, in cui furono unificate funzioni giudiziarie e politico-amministrative. In tale veste Polesini diede attuazione alle disposizioni austriache tendenti all’allargamento del consiglio cittadino con l’aggregazione di famiglie benestanti, che suscitarono invece l’estrema resistenza del patriziato locale, superata con il temporaneo esilio a Capodistria di alcune famiglie patrizie.

Dopo la pace di Presburgo e il passaggio dell’Istria al Regno Italico, Polesini accettò la nomina a membro del Consiglio generale del Dipartimento dell’Istria, istituito con decreto del 22 dicembre 1807. Lasciò però la sua carica di podestà di Parenzo, avendo constatato, come scrisse più tardi, che «tutta la pubblica amministrazione era assorbita dal prefetto e dai suoi delegati».

Poté quindi salutare con favore il ritorno dell’Austria, nel 1813-14, con il suo discorso Della riunione dell’Istria all’Imperio dell’Austria (Trieste 1814). Fu però deluso nelle sue ambizioni, quando cercò inutilmente di procurarsi la nomina fra i nuovi commissari distrettuali, articolazione locale del Capitanato circondariale con sede a Trieste. Fu quindi emarginato dalla nuova amministrazione austriaca. È vero che venne interpellato dal governo di Trieste nel 1817 sul progetto di una costituzione per il Regno d’Illiria e di una costituzione provinciale per l’Istria, ma l’intero piano finì con l’essere insabbiato. A nome di Parenzo, indirizzò ancora, nel 1822, un memoriale al governo per chiedere che la città divenisse capoluogo del circolo dell’Istria; ma la scelta cadde su Pisino.

Non venne però meno il ruolo sociale di Polesini. Il 9 maggio 1816 fu tra i notabili che ricevettero l’imperatore d’Austria Francesco I a Parenzo. In quell’occasione l’imperatore intervenne ad accomodare una grave disputa familiare, persuadendo Polesini ad acconsentire al matrimonio del figlio maggiore, Benedetto, con Marianna Gridelli. Fonte di grande soddi­sfazione per il vecchio marchese fu inoltre nel 1826 la conferma da parte imperiale del titolo marchesale del suo casato, al termine di una lunga pratica condotta con l’aiuto di Agostino Carli Rubbi, figlio di Gian Rinaldo.

Morì l’8 gennaio 1829 a Parenzo e fu tumulato nella cappella di S. Anna del vicino villaggio di Cervera.[2]


BENEDETTO (1783-1868), sposò nel 1816 Marianna Cridelli (1790-1848). Di lui si trova notizia tra quelle del padre Giovanni Paolo, in relazione alla visita deIl’imperatore Francesco I. L’imperatore, nominando contessa la signorina Cridelli, poi adottata dalla famiglia dei conti di Spilimbergo, permise il matrimonio tra lei e Benedetto.

Quando, dopo il Congresso di Vienna, l’Istria ritornò all’Austria e il generale comandante ristabill l’aniministrazione del 1805, l’affidò ad una ristretta commissione provinciale, della quale Benedetto fece parte, godendo di forti adesioni a Vienna.

Benedetto ebbe tre figli da Marianna Cridelli: Elena (1812-1879), sposata con Giovanni Artusi; Nicolina (1814), sposata con Nicolò de Madonizza da Capodistria; e Gian Paolo (1818-1882) per il quale si veda più avanti.[3]


FRANCESCO (1792-1882), suo fratello, fu cavaliere dell’ordine papale di San Silvestro, podestà di Parenzo e poi capitano provinciale dell’Istria, in due riprese, nel 1861 e 1867. Venne pure insignito dell’ordine della Corona Ferrea di ll classe, con sovrana risoluzione del primo febbraio 1866.

Adottò, con atto del 12 agosto 1869, l’unico discendente maschio della famiglia, il nipote Gian Paolo (1818-1882). Nel 1870 fu nominato barone dall’imperatore Francesco Giuseppe I, titolo trasmissibile al nipote Gian Paolo e ai suoi eredi.[4]


GIAN PAOLO POLESINI (1818 - 1882), avvocato e politico / GIAN PAOLO POLESINI (1818. - 1882.), pravnik i političar

GIAN PAOLO (Parenzo 21 dicembre 1818 – Parenzo 13 luglio 1882), sposò a Cormòns nel 1858 Amalia, baronessa Locatelli di Eulemburg e Schönfeld (1835-1914).

Nato nel 1818 a Parenzo, ricevette un’accurata educazione: da ragazzo ebbe a precettore il poeta Francesco dall’Ongaro, che lo guidò anche negli studi medi e gli fu di grande aiuto mentre si andava maturando la sua coscienza civile attorno alle idee nazionali e di libertà (non sempre condivise dallo zio Francesco, considerato “prudente equilibrista” in politica. Da Parenzo andò prima a studiare a Udine col professore Pirona e quindi, nel 1837, a Padova, dove si iscrisse alla facoltà di giuri-sprudenza. Passò poi all’università di Vienna, che frequentò fino al 1843, quando tornò a Padova per gli ultimi esami. In quegli anni condusse vita brillante e si procurò molte amicizie anche nel campo della cultura. Tornato a Parenzo, lo zio Fran­cesco gli cedette in amministrazione la tenuta di San Giovanni della Cisterna, con l’annesso castello (un tempo proprietà della famiglia Scampicchio di Albona). A Parenzo, pur continuando a studiare vane discipline, con predilezione per l’agronomia, si occupò fattivamente delle vastissime tenute domestiche, che riusci non solo a conservare, maigrado i tempi calamitosi, ma a migliorare. Venne considerato il più grande possidente dell’Istria: le sue proprietà comprendevano migliaia di ettari a Cervera, nella valle del Quieto, a Montona e a San Giovanni della Cisterna.

Pervaso dai grandi ideali di libertà e indipendenza nazionale, fu in continuo contatto con i più animosi patrioti istriani, quali Antonio Madonizza, Michele Facchinetti, e Nazario Gallo. Con loro, a 30 anni, nella primavera del 1848, fece un giro esplorativo e di propaganda in Istria, in vista di un possibile moto di adesione al Governo Provvisorio di Venezia. La sua appartenenza al partito antiaustriaco lo rese ovviamente inviso alle autorità (e procurò grane anche al suo “tiepido” e inno-cuo zio Francesco). Fu probabilmente grazie all’amicizia di Pietro Kandler che nel 1861 ottenne la nomina di capitano provinciale della prima Dieta Provinciale (quella del “Nessuno”).[5] Pietro Kandler, infatti, lo stimava molto e gli era grato per i documenti medioevali che gli procurava, traendoli dal ben fornito archivio domestico. Kandler era molto influente presso il luogotenente del Litorale, Burger, che, pur sapendolo amico di molti patrioti istriani a lui invisi, aveva tuttavia molta fiducia nella sua lealtà austriaca. Già il primo discorso di insediamento quale capitano della Dieta fu però un’amara sorpresa per Burger e per le autorità. Nel corso della seduta inaugurale (6 aprile 1861), prendendo la parola, Polesini alluse chiaramente all’appartenenza geografica dell’Istria all’Italia (“1’Istria sorta dalla mano di Dio entro i limiti geografici, che accennano alla sua appartenenza…”). Con schiettezza e franchezza, proprie di un istriano del suo stampo, rifuggendo dalle allora abituali forme ossequiose di cortigianeria rivolte all’imperatore, puntualizzò la triste situazione reale dell’Istria, contrapponendola a quella prospera dell’epoca precedente alle invasioni barbariche.

S’impegnò in seguito in iniziative di grande rilievo sociale, come la Società Agraria Istriana, di cui fu il primo presidente. Chiusa la Dieta, continuò la sua efficace azione quale deputato della III Legislatura, interessandosi del miglioramento della razza dei cavalli, dell’introduzione di asini dalle Baleari per l’allevamento dei muli, della salvaguardia degli uccelli utili all’agricoltura, della tutela della selvaggina, della riserva di 30 piante per jugero ad ogni taglio di bosco, della nomina di maestri ambulanti per l’agricoltura, delle sorgenti ed acque sotterranee in Istria, dell’istituzione di una stazione enologica a Parenzo, della fondazione del Credito Fondiario e del modo di scoprire e conservare le lapidi e altri oggetti storici[6]. Avrebbe potuto dedicarsi tranquillamente ai suoi studi preferiti e sviluppare proficui contatti con tanti illustri contemporanei, ma il fine più importante cui mirava era di fornire il massimo contributo ad un’azione che riportasse l’Istria alla prosperità. Coltivò anche la musica; suonava vari strumenti sia a corda che a fiato e nel 1845 richiamò in vita, dandole vigoroso impulso, la Società Harmonica di Parenzo. Quale prova della sua autentica democraticità, rara in quei tempi tra i nobili, partecipò ai pubblici concerti – bandista tra i bandisti – sempre tra i pnmi alle prove e zelante alle chiamate. Questo particolare aiuta a spiegare il perché della sincera stima e del tanto affetto che il popoio in genere sempre gli manifestò; sentimenti che divennero ancora più tangibili in occasione della sua morte, che gettò nel lutto più profondo l’intera città.

Dal suo matrimonio vennero al mondo cinque figli: Marianna (1858-1860); Ernesta (1860-1906), sposa del dottor G. Canciani; Marianna (1862-1919), sposa di Igino de Vecchi; Benedetto (1861-1952) e Giorgio (1864-1926).[7]


GIORGIO (Parenzo 19 ottobre 1864 – Trieste 31 gennaio 1926) studio ingegneria a Leipzig, amministrò le tenute di Montona e della valle del Quieto e abitò nella villa, che si costruì sulla punta della penisola di Parenzo (qui fece demolire la casetta che insisteva sui resti del tempio romano e condurre degli scavi ‘archeologici’). Nel 1901 venne eletto deputato alla Dieta, l’anno successivo ospitò Gabriele d’Annunzio, e nel 1904 divenne presidente del Consiglio Agrario Provinciale. A Klagenfurt, il 15 aprile 1896, sposò la baronessa Desirée Mylius (1874-1939), ed ebbe due figli: Amalia (1897-1983), sposa di Agostino Vidulli[8], e Francesco (1901-1983)[9] che sposò Marisa Angeletti; la loro unica figlia, Luisa, vive attualmente in Canada. Egli, nel giugno 1948, dovette lasciare definitivamente l’Istria, portando via tutto quello che gli fu possibile trasportare: mobili, biblioteca e archivio (compreso quello dello zio, dall’Isola di San Nicolò). Si trasferì a Roma e ad Albano Laziale, dove si prodigò nell’assistenza agli esuli istriani.[10]


BENEDETTO POLESINI (1861 – 1952)

BENEDETTO (Parenzo 2 marzo 1861 – Nogaredo al Torre 13 luglio 1952), fratello di Giorgio.

Formatosi sull’esempio del padre, temprò il carattere negli anni idealistici dell’irredentismo. L’amore del mare riuniva allora quell’ardente gioventù che invocava Garibaldi come liberatore. Alla prima Società Nautica Istriana ‘Adriatico’ (quella che fu il germe fecondo della ‘Forza e Valore’, che tanti allori riuscì poi a riportare anche in competizioni internazionali) Benedetto Polesini offrì nel 1880 la prima barca che portava il nome fatidico di ‘Nizzardo’. Con lo stesso ardore fu, nel 1901, accanto all’apostolo e cospiratore Gregorio Draghicchio, il quale fondava a Parenzo quella fucina di italianità che fu la ‘Società Ginnastica’; se il primo ne fu lo spirito animatore fino al 1915, anno nel quale la Società fu soppressa, Benedetto Polesini ne fu il generoso sostenitore.

Fu uno dei fondatori e per moltissimi anni presidente della Società Operaia di mutuo soccorso, sorta per l’assistenza agli artigiani. Fu presidente dell’Associazione italiana di beneficenza e uno dei fondatori e presidente del Consorzio Agrario cittadino, che tanto incremento diede all’agricoltura e sollevò le condizioni dei piccoli proprietari. Ad ogni sua opera concorse, oltre che con sostegni morali, anche con larghi aiuti materiali, in modo tale che la sua popolarità divenne grandissima. Per l’influenza che esercitò sulle masse rurali, fu un elemento prezioso nelle cam-pagne elettorali e con passione portò alla vittoria il partito che affermava la pura italianità dell’Istria. La ‘Società Politica Istriana’ lo designò tra i suoi rappresentanti al Parlamento di Vienna, nel periodo in cui i deputati irredenti erano impegnati nel più accanito ostruzionismo. Fu pure deputato all’ultima elezione della Dieta Provinciale Istriana.

Quale agente consolare del re d’Italia, nel 1906, fu ricevuto in udienza privata da Vittorio Emanuele III, al quale portò i voti e le ardenti speranze degli irredentisti. Uomini della politica, dell’arte e della scienza italiana, che si recarono in Istria, trovarono generosa accoglienza nel suo palazzo ospitale.

Al l’indomani della Redenzione, fu di nuovo solerte sulla breccia: si trattava di risanare le profonde ferite che la lunga guerra aveva inferto all’Istria. La provincia si trovava con le città evacuate, l’economia sconvolta, le terre abbandonate. Tornò alla direzione delle Società e degli organismi parentini ricostituiti. Fu nominato Regio Ispettore Onorario ai Monumenti e membro della Regia Commissione Araldica. Venne insignito della croce di Grande Ufficiale della Corona d’Italia.

Nel 1919, seguì il figlio che aveva trasferito la sua residenza dalla città all’isola di San Nicolò. Qui visse 25anni, nel castello che lui stesso aveva costruito nel l 886 come residenza estiva. Nel 1924 donò alla sua città natia la sala della Dieta ‘del Nessuno’ nell’antica chiesa di San Francesco, omata dagli stucchi del Montevinti, affinché ne divenisse il museo e vi fossero raccolti tutti i cimeli storici dalla Serenissima in poi, nonché le raccolte archeologiche dell’antichissima città. Si dedicò all’attiva lettura di numerose riviste e giornali, sempre attento agli avvenimenti della sua città. Rimase amico di numerosi personaggi importanti, tra questi il grande ammiraglio Thaon di Revel, che quasi ogni anno veniva ospitato aIl’isola, arrivando a Parenzo su una nave da guerra, che si ancorava nel porto.

Cointinuò a viaggiare, come usava fare da giovane, ma il suo cuore rimase sempre vicino alla popolazione cittadina, che gli voleva bene. Abitudinario e di ottima sa­lute, anche in tarda età traghettava ogni giorno, sbarcando sulla riva parentina vicino all’Hotel Riviera e dirigendosi poi dall’amico Giacomo Greatti, dove trovava i giornali appena giunti da Trieste. Salutava tutti e da tutti era riverito con vivo affetto.

Nell’agosto 1944, dopo un primo attacco alla città da parte di aerei inglesi, l’isola venne occupata dalla marina e dall’artiglieria contraerea germanica. La famiglia fu pertanto costretta a trasferirsi, prima a Parenzo (4 agosto) e poi nell’azienda di Cervera, dove rimase fino al 1947. Benedetto raggiunse infine il figlio, che era già ospite del conte di Maniago, a Nogaredo al Tone, dove mori dopo una breve malattia, all’età di 91 anni.

Aveva sposato nel 1885 sua cugina, Isabella baronessa Locatelli di Eulenburg e Schönfeld (1866-1912), da cui ebbe quattro figli: Maria (1888-1972), sposata con il barone Gariboldi; Giansereno o Gino (1893-1976) celibe, antiquario; Olga (1897-1973), sposata con l’avvocato Piero Alessandrini; e Giovanni Paolo.[11]


GIOVANNI PAOLO (1886-1967), laureatosi nel 1912 presso l’università di Pisa in scienze agrarie, si sposò nel 1913 a Parenzo con Margherita baronessa Fischer de Nagy Szalatnya (1890-1947). Durante la prima guerra mondiale militò nell’esercito austro-ungarico con sedi diverse. Il 12 novembre 1918 con altri quattro concittadini, oltrepassando 1’Adriatico minato, guidò un motoscafo fino a Venezia, per chiedere la sollecita occupazione dell’Istria. Fu ascoltato dall’ammiraglio Marzollo e, insieme ai compagni, festeggiato da Gabriele d’Annunzio. La sera del 3 novembre giunse a Parenzo con le navi liberatrici. Dopo la guerra, nel 1919, si stabili definitivamente sull’isola di San Nicolò, prima adibita a residenza estiva. Amministrò l’azienda agricola di Cervera, assumendo nello stesso tempo diversi incarichi pubblici, quali la carica di podestà e presidente della Cassa Rurale. Fu presidente dell’Istituto Agrario Provinciate, famoso per la bontà dei vini e la scuola professionale. Durante l’occupazione germanica (1943-1945) si adoperò continuamente affinché i rapporti tra le truppe di occupazione e la popolazione agricola e cittadina rimanessero nei limiti del possibile. Non accettò l’incarico di prefetto, offertogli dalle autorità germaniche. “Si era reso talmente benvoluto dai cittadini, come del pari dalla popolazione della campagna che, quando fu arrestato nel maggio del 1945, dall’Ozna, ed avviato a Pisino, con i polsi serrati da filo di ferro, tutti insorsero con alla testa i suoi coloni, tanto che le autorita jugosiave dovettero rilasciarlo”. Nel 1946 si rifugiò a Udine, dove venne raggiunto nel 1947 dal padre. Passò motti anni a Nogaredo al Torre nella villa del conte di Maniago, poi, nel 1955, si trasferì presso il figlio a Udine. Nel 1965 si ammalò gravemente e, dopo tre anni di dolorosa malattia, morì il primo novembre 1967. Fino all’ultimo il suo cuore rimase vicino alla sua terra istriana che mai poté dimenticare per un solo istante del lungo esilio.[12]

L’unico figlio BENEDETTO, nato a Parenzo il 5dicembre 1915, frequentò prima il liceo scientifico a Trieste, poi dal 1934 al 1939, l’università di Bologna dove si laureò in agraria nel 1940. Rimase sotto le armi dal 1939 al 1943. Nel 1946-1947 fu ospite della famiglia Pasti nel Basso Piave. Nel 1948 raggiunse lo zio materno Gustavo a Murhof (Stiria, Austria), dove rimase fino al 1952. Nell’ottobre di tale anno prese servizio presso l’Ente Friulano di Economia Montana di Udine. L’8 novembre 1954 sposò ad Assisi Ada Lucchini. Nel 1967 passò all’Amministrazione regionale, Corpo Forestale, poiché nel 1957, dopo aver frequentato l’università di Firenze, si era laureato anche in scienze forestali.

GIAN PAOLO POLESINI (nato / r. 29. 10. 1957.)

Mori a Udine il 13 dicembre 1998, lasciando unico erede il figlio Gian Paolo (nato il 29 ottobre 1957), redattore del “Messaggero Veneto”, quotidiano di Udine.[13]


[1] Marzia Vidulli Torlo, La famiglia Polesini, L’archivio Polesini Lettere 1796-1798, tomo II, Trieste 2004, p. VII-IX.

[2] Giuseppe Trebbi, Dizionario Biografico degli Italiani – Volume 84 (2015), https://www.treccani.it/enciclopedia/gian-paolo-sereno-polesini_(Dizionario-Biografico)/

[3] Marzia Vidulli Torlo, La famiglia Polesini, L’archivio Polesini Lettere 1796-1798, tomo II, Trieste 2004, p. XV.

[4] Marzia Vidulli Torlo, La famiglia Polesini, L’archivio Polesini Lettere 1796-1798, tomo II, Trieste 2004, p. XVI.

[5] Si tratta della Dieta che rifiutò l’elezione di due deputati al Consiglio dell’Impero, quella libera assemblea di istriani che, il 10 aprile 1861, rifiutò di inviare all’imperatore un indirizzo di omaggio e che, di fronte all’imposizione governativa, riunita ancora ii 16 aprile, nuovamente rispose: “Nessuno”. In tutte e due le sedute i votanti furono 27: venti le schede con su scritto “Nessuno”. II Governo austriaco decise lo scioglimento della Dieta e l’indizione di nuove elezioni, che ebbero luogo in settembre ma il 76 per cento degli elettori disertò le urne. La Dieta si doveva pero ricostruire, l’Austria non poteva darsi per vinta e così fu costretta a metterne insieme una “di seconda mano”. Se la prima fu la Dieta dell’intelligenza e del patriottismo, la seconda fu la Dieta dell’ignoranza e del servilismo (come commentava Camillo de Francesehi in L’attività del Comitati politici di Trieste e dell’Istria, in “Atti e memorie della Società istriana di archeologia e storia patria”, vol. 1, n.s., 1949, p. 172), formata da sei ecclesiastici, tre i.r. pretori, due i.r. medici distrettuali e nove “teste di legno” faticosamente racimolate tra possidenti e contadini (Luigi Papo, Montona, Padova 1974, pp. 105-106).

[6] A questo riguardo non si stancò di sollecitare presso il Governo, la destinazione di somme, sottolineando che “le lapidi e gli altri oggetti storici della provincia rivelano meglio la storia dei tempi, e non sono sospette per errore di amanuense, sono documenti originali, autentici a noi trasmessi a mezzo resistenza del mezzo su cui sono scritti” (Marin, 1982, pp. 21-22)

[7] Marzia Vidulli Torlo, La famiglia Polesini, L’archivio Polesini Lettere 1796-1798, tomo II, Trieste 2004, p. XVI-XX.

[8] Amalia Polesini sposa a Parenzo, il 14 giugno 1919, Agostino Vidulli (Lussino 8 luglio 1882 – 1941) e ha due figli: Anna Clara (Trieste 28 aprile 1923), sposa di Aldo Cucchi (Genova 23 magglo 1916), madre di Franco e Giuliana; Giorgio (Trieste 27 maggio 1929), che sposò Luigia Tont (Trieste 20 aprile 1932), da cui ebbe Agostino e Marzia.

[9] Francesco amministrò le proprietà di famiglia, fu presidente della Cantina Sociate di Montona, che raccolse gran parte della ricca e varia produzione vinicola della zona, ed ebbe a Parenzo la concessionaria FIAT con officina che forniva in esciusiva tutta l’lstria. Su Francesco vedi Mario Mirabella Roberti Francesco Polesini in “Atti e memorie della Società istriana di archeologia e storia patria”, vol. 31, n.s. (1983), p. 387. La figlia Luisa (Trieste 15 aprile 1942) sposò Alexander Karumanchiri (Alapuzha, Kerala, India 18 maggio 1936), figli: Mashi, Ravi, Arun.

[10] Marzia Vidulli Torlo, La famiglia Polesini, L’archivio Polesini Lettere 1796-1798, tomo II, Trieste 2004, p. XX-XXI.

[11] Su Benedetto Polesini vedi l’articoto Grande Uff. Marchese Benedetto Polesini in “In Strada Granda”, Trieste 1979, n. 2, pp. 11-12. Marzia Vidulli Torlo, La famiglia Polesini, L’archivio Polesini Lettere 1796-1798, tomo II, Trieste 2004, p. XXI-XXIII.

[12] Marzia Vidulli Torlo, La famiglia Polesini, L’archivio Polesini Lettere 1796-1798, tomo II, Trieste 2004, p. XIV-XXV.

[13] Su Giovanni Paolo vedi Angelo De Benvenuti, Paolo Polesini, in “Rivista dalmatica”, anno XXXIX, 1968, fasc. III (estratto di 13 pagine non numerate);  vedi anche Giuseppe Cuscito – Lina Galli, Parenzo, Padova 1976, p. 260., Marzia Vidulli Torlo, La famiglia Polesini, L’archivio Polesini Lettere 1796-1798, tomo II, Trieste 2004, p. XXVI.